Il 17 Marzo la Corte Penale internazionale dell’Aja (CPI), tribunale per crimini internazionali a cui aderiscono 123 Paesi nel mondo, ha emesso un mandato d’arresto contro il presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra, in particolare per la deportazione di bambini e i loro trasferimento dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia.
Secondo quanto affermato dal procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan, Putin potrebbe essere processato per presunti crimini di guerra, come accaduto in altri processi storici, tra cui quelli nei confronti dei nazisti, dell’ex presidente jugoslavo Slobodan Milošević o dell’ex leader liberiano Charles Taylor. Nonostante ciò, questa è una situazione inaudita, in quanto Putin è il primo capo di Stato di un paese membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro cui è stato emesso un mandato di arresto.
I motivi dietro la condanna di Putin
La condanna per i crimini di guerra di deportazione della popolazione e di trasferimento illegale della stessa che pende sulla testa di Vladimir Putin è strettamente legata alle dichiarazioni della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sull’Ucraina, che ha affermato di essere in possesso di prove del trasferimento illegale di centinaia di bambini ucraini in Russia.
Difatti, secondo quanto riportato dal rapporto della Commissione, la Russia ha introdotto dall’inizio della guerra diverse normative, come quella di obbligare i bambini ucraini a prendere la cittadinanza russa e di ricollocarli in famiglie affidatarie in Russia con lo scopo di “creare un contesto in cui alcuni dei bambini possono finire per rimanere permanentemente”.
Sebbene i trasferimenti dovessero essere temporanei, la maggior parte di essi si è prolungata, e sia i genitori che i bambini hanno dovuto affrontare una serie di difficoltà per stabilire anche solo un contatto.
Le stime di Kiev riguardanti i bambini trasferiti forzatamente in Russia o nelle zone occupate vanno oltre i 16’000.
Chi altro è stato condannato per questi crimini
Il presidente russo Vladimir Putin non è l’unico nel mirino della condanna per i sopracitati crimini di guerra; infatti i mandati di arresto emanati dai giudici dell’Aja riguardano anche la commissaria nazionale russa per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belowa.
Il suo ruolo nella deportazione dei bambini ucraini è centrale: è lei a occuparsi della cosiddetta rieducazione patriottica e delle pratiche di adozione dei bambini.
Lei stessa, per dare il “buon esempio”, avrebbe preso in affido una dozzina di bambini, tra i quali ce ne sarebbe anche uno di origini ucraine. Quest’ultimo particolare è stato confermato dalla commissaria stessa in una conversazione tra lei e il presidente Putin, trasmessa in tv a metà febbraio.
Altri crimini di cui la Russia si sarebbe macchiata in Ucraina
Oltre ai crimini citati in precedenza, il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite afferma che la Russia ha commesso anche altri crimini di guerra in Ucraina, tra cui attacchi a ospedali, torture, stupri e omicidi volontari.
Reazione di Mosca e di Kiev
Non si sono fatte aspettare le dichiarazione riguardanti l’accaduto sia dal governo di Mosca che da quello di Kiev.
Ha fatto le veci del Cremlino la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha definito “salvezza” la deportazione dei bambini ucraini nei territori russi e che ha ribadito la nullità delle decisioni della Corte penale internazionale. Ha espresso la propria “opinione” su ciò anche il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Dmitri Medvedev, che ha paragonato a “carta igienica” il valore del mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin per “crimini di guerra”.
Dall’altro lato della barricata, hanno invece risposto il responsabile dello staff presidenziale ucraino, Andriy Yermak, che ha affermato come ciò fosse solo l’inizio, ed il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha ribadito la responsabilità di Vladimir Putin per i crimini commessi dalla Russia in Ucraina.
Reazioni dal resto del mondo
Russia e Ucraina non sono gli unici Paesi ad aver espresso la propria opinione sull’accaduto, ne sono un’esempio l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Quest’ultimi hanno rispettivamente affermato: il proprio sostegno per l’operato della Corte penale internazionale dell’Aja e la ragionevolezza dell’ordine d’arresto.
Le voci fuori dal coro
Non si fanno mancare di certo le voci di dissenso verso la scelta presa dalla CPI dell’Aja, voci che provengono proprio dal cuore dell’Europa, specialmente dall’Ungheria.
Difatti, il capo di gabinetto del primo ministro Viktor Orbán, Gergely Gulyás, fa sapere alla Corte Penale Internazionale che l’Ungheria non arresterà Vladimir Putin se questi dovesse entrare nel paese.
Le motivazioni date da Budapest per tale dichiarazione sono principalmente due: la prima è di carattere concreto, cioè la mancata integrazione dello Statuto della Corte Penale Internazionale nell’ordinamento giuridico ungherese; la seconda è invece di carattere ideale, poiché il capo staff di Orbán ha precisato che il mandato di arresto nei confronti del presidente russo è una decisione “infelice”, in quanto non porta alla pace, ma ad un’ulteriore inasprimento della guerra.
Di Luca Vece